71 anni fa il Principe Umberto di Savoia diventava Re d'Italia

A seguito dell’abdicazione del padre Re Vittorio Emanuele III, il 9 maggio 1946 Umberto di Savoia, Principe di Piemonte sale al trono del Regno d’Italia.

Umberto II, personaggio carismatico e amatissimo dagli Italiani, ha lasciato di sé un ricordo incancellabile.

L'abdicazione di Vittorio Emanuele III fu l'atto con cui il 9 maggio 1946 il re Vittorio Emanuele III rinunciò al titolo di re, a favore del figlio Umberto II, che già rivestiva il titolo di Luogotenente del Regno d'Italia

Il 5 giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III aveva nominato il figlio Luogotenente Generale del Regno, in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il Comitato di Liberazione Nazionale, e che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercitò di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimase a Vittorio Emanuele III fino al 9 maggio1946.

Umberto era un grande uomo e un grande Re, servitore della Patria, ma purtroppo i brogli del referendum hanno impedito al popolo italiano di averlo come Capo di Stato.

Per evitare una guerra civile Umberto decide di lasciare l'Italia senza abdicare, e fu la repubblica e quindi il caos.

 

Ecco il primo messaggio di Re Umberto II al popolo italiano:
 
Italiani!
 
Il mio augusto genitore effettuando il proposito manifestato da oltre due anni, ha oggi abdicato al trono nella fiducia che questo suo atto possa contribuire ad una più serena valutazione dei problemi nazionali nella pace imminente. Nello assumere da Re quegli stessi poteri che già esercitavo da Luogotenente Generale, ho la piena consapevolezza della responsabilità dei doveri che mi attendono. 
Fiero e commosso ricordo i caduti della lunga guerra, i morti nei campi di concentramento, i martiri della liberazione e rivolgo il mio primo pensiero agli italiani della Venezia Giulia e delle terre d’oltremare che invocano di rimanere cittadini della Patria comune. Ai prigionieri di cui aneliamo il ritorno, ai reduci a cui dobbiamo ogni riconoscenza, a tutte le incolpevoli vittime della immane tragedia della Nazione. 
 
La volontà del popolo espressa nei comizi elettorali determinerà la forma e la nuova struttura dello Stato, non solo per garantire la libertà del cittadino e l’alternarsi delle parti al potere, ma per porre altresì la costituzione al riparo di ogni pericolo e da ogni violenza. Nella rinnovata monarchia costituzionale, gli atti fondamentali della vita nazionale saranno subordinati alla volontà del Parlamento dal quale verranno anche le iniziative e le decisioni per attuare quei propositi di giustizia sociale che, nella ricostruzione della Patria, unanimi perseguiamo.
 
Io non desidero altro che di essere il primo fra gli italiani nelle ore dolorose, ultimo nelle liete, e nelle une e nelle altre, restare vigile custode delle libertà costituzionali e dei rapporti internazionali che siano fondati su accordi onorevoli e accettabili.
 
Italiani!
 
Mentre nel mondo sussistono divergenze e divisioni e affannosamente si ricerca la via della pace, diamo esempio di concordia nella nostra civiltà cristiana.
Stringiamoci tutti intorno alla bandiera, sotto la quale si è unificata la Patria che quattro generazioni di italiani hanno saputo laboriosamente vivere ed eroicamente morire.
Davanti a Dio giuro alla Nazione di osservare lealmente le leggi fondamentali dello Stato che la volontà popolare dovrà innovare e perfezionare.
Confermo altresì l’impegno di rispettare, come ogni italiano, le libere determinazioni dell’imminente suffragio, che ne sono certo, saranno ispirate al migliore avvenire della Patria.
 
Roma, 10 Maggio 1946

 

 

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